L’artrosi secondaria rappresenta una condizione patologica in cui la noxa che dà genesi e sostentamento al processo patologico è definita e identificabile nella storia anamnestica. Può riconoscere invece innumerevoli cause, tutte accomunate da una alterata distribuzione dei carichi o da uno scompenso degli equilibri normalmente presenti all’interno della cavità sinoviale, tra cui citiamo:
– Causa Meccanica
1. Deformazioni epifisarie:
• M. Blount: tibia vara giovanile, che ha alla base alterazioni morfo-strutturali di natura genetica e che esita in un’ossificazione precoce nelle cartilagini d’accrescimento, con difetto di accrescimento della componente mediale della cartilagine di accrescimento; quindi in quest’osso si allunga solamente la componente laterale, e col tempo ciò provoca una deviazione in varo della tibia.
Questo determina una redistribuzione dei carichi prevalentemente al distretto mediale, che quindi è facilmente colpito da fenomeni artrosici (si verifica un po’ quello che accade in una macchina con l’asse delle ruote alterato: il consumo dei copertoni è diverso nei due versanti, interno ed esterno, delle ruote). È necessario intervenire molto rapidamente per arrestare il processo patologico in quanto, qualora non corretta, può portare ad importanti deformazioni tibiali.
• Rachitismo: rappresenta una delle cause principali di alterazioni delle cartilagini d’accrescimento.
• Acromegalia: patologia endocrina molto correlata a malattie dell’osso come malattia di Paget o artrosi ipertrofica.
• Condrodisplasie: patologie giovanili che evolvono nell’adulto e risultano caratterizzate dalla presenza di cartilagine articolare non aderente all’osso subcondrale.
• Osteocondrite dissecante: malattia dell’infanzia colpisce i bambini dagli 8 ai 12 anni. Dal punto di vista istopatologico rappresenta una sofferenza di carattere vascolare (anche se non è ancora ben conosciuta l’eziopatogenesi) che, nell’80% dei casi, colpisce il condilo mediale ma può avvenire anche nel compartimento laterale; rappresenta invece un’evenienza molto rara l’insorgenza a livello femoro-rotuleo, attestata all’1%. È caratterizzata dalla perdita della continuità della cartilagine articolare.
• Osteonecrosi: rappresenta un’evenienza clinica molto frequente, legata spesso ad algodistrofia o osteoporosi dolorosa; quest’ultima è una patologia del parasimpatico con conseguenti alterazioni del microcircolo, riassorbimento importante del calcio ed edema della spongiosa che esita in intenso dolore osseo e articolare.
2. Alterazione in varo dell’asse articolare (cosce e gambe danno luogo ad una specie di O).
3. Alterazione in valgo dell’asse articolare: spesso i bambini e le adolescenti hanno un valgismo tibio-femorale (cosce e gambe danno luogo ad una specie di X ).
La definizione di un’alterazione assiale come varo o valgo dipende molto da quale asse si va a misurare; è possibile identificare un valgismo tibio-femorale di circa 6-8° che corrisponde, qualora si vada a misurare l’asse meccanico dal centro della testa al centro della caviglia, ad un varo di 1°.
È opportuno rilevare come il valgo spesso si aggravi a seguito dell’esecuzione di una protesi d’anca; le ragioni di tale aggravamento sono strettamente meccaniche ed in particolare risultano da una medializzazione del centro di rotazione dell’anca e da una modificazione della distribuzione del il carico.
Quella in valgo è la deviazione meno grave, in quanto causa solitamente degenerazione precoce del compartimento laterale.
Un valgismo non eccessivo determina lo sviluppo di artrosi più lentamente di quanto non faccia un ginocchio varo di deviazione confrontabile.
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4. Esito di osteotomia: tale tecnica viene solitamente eseguita al fine di correggere il varo, il valgo o la rotazione eseguendo delle sezioni dell’osso. La durata terapeutica dell’osteotomia è di circa 8-10 anni; questo dato risulta di fondamentale importanza nell’informare il paziente, che deve essere reso consapevole che non si tratta di un intervento definitivo; nel tempo infatti potrà essere necessario eseguire un intervento protesico. Le protesi di ginocchio hanno una sopravvivenza diversa in base all’età del soggetto: in un paziente giovane la protesi di ginocchio non dura più di 10 anni mentre in un anziano può durarne anche 20.
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5. Menisco discoide: malformazione del menisco che non si segmenta durante lo sviluppo e risulta, pertanto, completo come unico panno meniscale.
Tale conformazione conduce ad una degenerazione e ad una conseguente rottura della struttura meniscale stessa; a seguito della frammentazione del menisco risulta necessaria la sua rimozione e, qualora sia possibile, la sua ricostruzione. La patologia colpisce più frequentemente il menisco laterale che il mediale e mostra una prevalenza dello 0,5-1% nella popolazione. È opportuno rilevare come il ginocchio senza menisco vada incontro ad artrosi molto precocemente.
6. Instabilità articolare: generalmente è dovuta alla rottura dei crociati (si viene a determinare il cosiddetto cassetto anteriore), i quali possono poi essere ricostruiti o meno.
L’intervento di ricostruzione prevede l’impiego di un innesto ricavato dal tendine gracile, semitendinoso o sottorotuleo; è importante specificare che l’intervento di ricostruzione del legamento crociato non avviene mai in urgenza; questo è motivato dalla necessità di attendere una riduzione dello stato infiammatorio e del versamento articolare conseguente alla rottura del legamento; l’attesa, che può essere anche di 4-5 mesi (negli atleti che necessitano di una ripresa rapidissima delle prestazioni i tempi si possono accorciare), consente anche all’articolazione di recuperare uno stato minimo di stabilità intrinseca dato dai collaterali. Risulta ancora molto dibattuto il profilo del paziente su cui poter realizzare l’intervento di ricostruzione.
L’assenza del crociato altera totalmente la biomeccanica dell’articolazione e questo dà esito, in cronico, ad alterazioni nei menischi e nella cartilagine. Va poi tenuto presente che un movimento alterato e non naturale è sempre associato ad un carico anomalo. Pertanto la scelta di stabilizzazione del crociato non è solo legata a questioni sportive ma anche alla possibilità di evitare in futuro l’insorgenza di lesioni secondarie ad alterata cinematica. È opportuno rilevare d’altro canto come un intervento chirurgico risulti invasivo per l’articolazione e dunque vada evitato, qualora non necessario; questo vale specialmente per interventi multipli che generano un rischio reale di artrosi secondaria. Va infine ricordato che interventi di rigenerazione tissutale quali trapianti osteocondrali e di cellule mesenchimali non hanno a tutt’oggi dato alcun risultato. Per questi motivi, la scelta sull’opportunità di un intervento chirurgico deve dunque tenere presente diversi aspetti.
7. Alterazione strutturale dei tessuti articolari:
• Condrocalcinosi: si tratta di una patologia metabolica molto frequente fra gli anziani; da un punto di vista fisiopatologico, essa si caratterizza per la presenza di cristalli di trifosfato di calcio nell’articolazione; l’infiammazione che ne consegue determina un’artrosinovite dolorosa, con conseguente aumento delle resistenze all’escursione e quindi facilità di degradazione della cartilagine. Da un punto di vista diagnostico risulta facilmente identificabile con un radiogramma standard in quanto il trifosfato di calcio si deposita nei menischi e nella cartilagine, e provoca un indebolimento strutturale delle componenti articolari che può arrivare fino alla rottura.
• Ocronosi.
• Emocromatosi.
• Emofilia: il sanguinamento intrarticolare caratteristico della condizione emofiliaca induce una degenerazione accelerata della cartilagine, che predispone all’artrosi.
• Osteosclerosi generalizzata.
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– Causa post-traumatica:
Tutti i traumi e le fratture, sia articolari che extra-articolari, portano nel tempo allo sviluppo di artrosi. Anche qualora si effettui una corretta riduzione della frattura e si giunga ad una piena risoluzione, non è possibile conoscere con precisione qual sia stata l’entità del trauma che avvenuto a livello della cartilagine. Alcuni mostrano come una compressione violenta a livello della cartilagine possa portare nel tempo alla morte dei condrociti. Quindi ciò che si tende a fare ora nei grandi traumi è prelevare in sala operatoria un pezzetto di cartilagine per farla analizzare e vedere se dal punto di vista istologico gli effetti del trauma sulle strutture condrali.
1. Trauma Articolare: fratture del piatto tibiale con formazione di scalini e deformazioni articolari.
2. Trauma Extra – articolare, con conseguente alterata distribuzione dei carichi sul ginocchio.
Esitono anche dei casi in cui la frattura non interessa direttamente la porzione articolare della struttura scheletrica.
Una frattura diafisaria ad esempio, anche se ridotta e riparata, può esitare in un accorciamento osseo o in una deviazione in varo o in valgo del segmento scheletrico. Anche una deviazione d’angolo si ripercuote sulla stabilità dell’asse articolare, portando ad importanti alterazioni del carico.
– Causa Infettiva: le artriti settiche risultano devastanti per le articolazioni in quanto provocano la distruzione massiva della cartilagine. Inoltre l’eventuale presenza di cisti ossee nell’osso subcondrale determina rigidità e alterazioni sia nella porzione osteo-cartilaginea che in quella ligamentosa. Il trattamento di questi casi è molto complesso perchè in sede d’infezione la protesizazzione non risulta possibile. Inoltre l’infezione a questo livello è di difficile eradicazione perchè si possono creare sequestri e lacune non vascolarizzate dove i batteri, soprattutto anaerobi, possono rimanere vivi anche per anni.
– Causa Tumorale:
1. Condromatosi primitiva.
2. TCG (tumore a cellule giganti).
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