Tra le artriti primarie troviamo le spondiloartriti sieronegative. Di questa categoria fanno parte diverse patologie:

  • Spondilite anchilosante
  • Artropatia psoriasica
  • Spondilo-entesoartriti enteropatiche
  • Artriti correlate a rettocolite ulcerosa (RCU) e morbo di Crohn
  • Sindrome di Reiter
  • Sindrome SAPHO
  • Altre artriti reattive HLA-B27 correlate
  • Spondilo-entesoartriti indifferenziate

La sindrome di Reiter è stata identificata da un medico nazista che effettuava esperimenti sui detenuti dei campi di concentramento di Auschwitz e Buchenwald, soprattutto riguardo al cosiddetto tifo petecchiale.
Le spondilo-entesoartriti sono delle patologie con un’infiammazione di vertebre, ed entesi (sulle inserzioni di tendini, o legamenti, sulla capsula articolare o sull’osso). Sono sieronegative perchè in esse è assente il fattore reumatoide nel siero.
Ecco le caratteristiche di queste patologie:

  • Sono artropatie flogistiche periferiche asimmetriche, spesso colpiscono gli arti inferiori
  • Negative per il fattore reumatoide
  • Spesso sono positive all’antigene di istocompatibilità HLA B27
  • Spesso sono associate a condizioni concomitanti come psoriasi, ulcere urogenitali ed enteropatie

Sono frequenti le infezioni urogenitali da Chlamydia trachomatis e le infezioni intestinali da Yersinia, Shigella e Campylobacter. Durante l’anamnesi bisogna informarsi su eventuali precedenti infettivi. L’infiammazione delle entesi può portare alla distruzione delle stesse. Le artriti periferiche interessano principalmente gli arti inferiori, sono oligoarticolari (interessano poche articolazioni), sono scarsamente erosive ed interessano anche tendini, entesi e la colonna vertebrale. Ecco le articolazioni interessate:

  • Sternoclaveari
  • Polsi
  • Metacarpo-falangee
  • Caviglia
  • Ginocchio
  • Piedi

E’ caratteristica la dattilite, che si mostra come dito a “salsicciotto”, che la differenzia da una tumefazione delle articolazioni interfalangee. Un altro interessamento caratteristico riguarda il tendine d’Achille ed i tendini peronei, infiammati e ingrossati. A livello delle entesi si forma un edema, si infiamma l’inserzione e l’edema può coinvolgere anche l’osso. Comunque non tutte le manifestazioni sono per forza presenti contemporaneamente.

L’interessamento dello spondilo, della colonna vertebrale, è completo, può essere cervicale, toracico, lombare, oppure, molto frequentemente, coinvolgere le articolazioni sacro-iliache. Il dolore lombare e sacro-iliaco è soprattutto notturno o mattutino, con una rigidità superiore ai 30 minuti, spesso associato a uno stato di compromissione generale con astenia, ed il dolore non è mai attenuato dal riposo, anzi migliora con il movimento. Si tratta di una lombalgia infiammatoria. La distinzione tra lombalgia meccanica ed infiammatoria, seppure basata su pochi elementi, fornisce con discreta accuratezza la capacità di diagnosi differenziale:

Caratteristiche Lombalgia infiammatoria
Insorgenza Graduale
Età di insorgenza Giovanile, < 40 anni
Effetti del movimento Migliora
Effetti del riposo Peggiora
Rigidità mattutina Superiore a 30’
Contrattura muscolare di risposta Diffusa

 

Caratteristiche Lombalgia meccanica
Insorgenza Acuta
Età di insorgenza Qualsiasi
Effetti del movimento Peggiora
Effetti del riposo Migliora
Rigidità mattutina Breve
Contrattura muscolare di risposta Localizzata

Il caratteristico dolore delle articolazioni sacro-iliache è un dolore lombo-glutalgico, inizia nelle prime ore del mattino (il paziente deve alzarsi dal letto), ed è definito a “sciatica mozza”, il dolore si irradia dal gluteo al cavo popliteo e non oltre, a differenza di un dolore da sciatalgia. Il dolore migliora con il movimento e ha un caratteristico andamento basculante: a volte a destra, a volte a sinistra, a volte coinvolge entrambi gli arti. Viene definito “bandierina rossa”, dà un forte sospetto di patologia infiammatoria, in particolare una spondiloartrite.
Simile è la sindrome di Reiter, un’artrite reattiva con una triade di condizioni, uretrite, congiuntivite e sacroileite. Si ha un’infiammazione delle articolazioni sacroiliache con inizialmente un certo allargamento della rima articolare e poi, via via che la patologia procede, si ha la sclerosi, sia sul versante iliaco che sul versante sacrale, fino ad arrivare alla fusione dei capi articolari. Alla sclerosi sono associati degli aspetti erosivi. Su 1000 casi di uretriti non specifiche, abbiamo 10 casi di artrite reattiva, 3 di questi 10 hanno la sindrome di Reiter.
L’artrite reattiva ha a volte anche degli interessamenti extra-articolari come il cheratoderma, delle lesioni cutanee desquamative e pustolose, la psoriasi, le lesioni al glande e le ulcere al cavo orale. Quando invece abbiamo delle lesioni cutanee a livello ungueale, una oligoartrite ed una psoriasi del cuoio capelluto con una forfora abbondante, si può pensare ad un esordio di artropatia psoriasica. Comunque nell’artropatia psoriasica sono interessate le articolazioni interfalangee distali, mai coinvolte nella spondilite anchilosante.

 

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SPONDILITE ANCHILOSANTE
E’ una patologia che interessa prevalentemente il rachide, è associata ad infiammazioni della membrana sinoviale e delle entesi. Non c’è una spondilite anchilosante senza un interessamento delle articolazioni sacro-iliache. Prevale l’interessamento del sesso maschile, ha una comparsa giovanile (tra i 15 ed i 40 anni), nel 90 % dei casi è associata al HLA B27. Interessa elettivamente lo scheletro assile, ma abbiamo anche la variante rizomerica che interessa le articolazioni del cingolo scapolare e del cingolo pelvico (spalla ed anca). E’ una malattia altamente invalidante anche nei soggetti giovani, che causa un’immobilità articolare e la perdita della propria autonomia. Circa il 70 % dei pazienti va incontro alla fusione dei corpi vertebrali nella parte anteriore con la colonna, che viene definita “a canna di bambù”, una condizione che si cerca di evitare con i nuovi farmaci e può essere corretta con degli interventi di osteotomia vertebrale. La spondilite anchilosante ha anche delle condizioni extra-articolari associate: molto frequente (40 %) è una uveite acuta recidivante della camera anteriore oculare, manifestazioni cutanee come la psoriasi, interessamento polmonare che porta ad una progressiva fibrosi, e in un 5 % dei pazienti, soprattutto malati di lunga data, una aortite che può essere la causa di morte. Può esserci in circa il 30 % dei casi una enterite asintomatica o scarsamente sintomatica (non associabile a Crohn o ad una retto-colite ulcerosa), più raramente (8 %) un interessamento renale con una glomerulonefrite mesangioproliferativa. Comune (63 %) è un bilancio osseo patologico che porta all’osteoporosi, anche per la scarsa mobilità dei soggetti, con una riduzione del calcio osseo.

Per quanto riguarda l’eziopatogenesi, non si tratta di una malattia propriamente autoimmune. E’ fortemente correlata alla presenza di HLA B27 che da solo non è però sufficiente a dare la malattia, senza la presenza del complemento. Solo con l’attivazione della cascata del complemento si ha l’infiammazione e la fibrosi. Serve un ipotetico “trigger” per la cascata del complemento, che non è stato ancora identificato di preciso ma molto probabilmente è di origine infettiva, forse batterica (per esempio, Klebsiella pneumoniae, oppure un’infezione da Mycobacterium tuberculosis in un soggetto immunodepresso per un’infezione con HIV). Nuove ricerche hanno ipotizzato come un proteoglicano-aggrecano della cartilagine scateni tutto il processo (che sarebbe quindi autoimmune). Importante è il ruolo delle citochine proinfiammatorie nella patogenesi dell’infiammazione e del danno articolare, in particolare il TNF-α. Il TNF-α è formato da 3 subunità, ha un PM di circa 17 KD, è prodotto da monociti-macrofagi ma anche da linfociti T attivati e anche dai fibroblasti. Entra nel meccanismo infiammatorio in modo autocrino e paracrino stimolando anche la liberazione di IL-1, IL-6 e IL-8, ed agisce sui fibroblasti della membrana sinoviale, sui condrociti e sugli osteoclasti stimolando la liberazione di metalloproteasi responsabili del danno tissutale.
La spondilite anchilosante è valutata sia clinicamente che tramite dei test di autovalutazione che ci servono per capire la funzionalità ed il grado di autonomia del paziente, e per valutare se inserirlo nella terapia con i nuovi farmaci biologici anti-TNF, dato anche l’elevato costo degli stessi. Due test molto usati sono il BASFI (Bath Ankylosing Spondylitis Functional Index) ed il BASDAI (Bath Ankylosing Spondylitis Disease Activity Index), rispettivamente con 10 e 6 domande che nel BASFI riguardano l’attività funzionale del soggetto (ad esempio “E’ in grado di indossare i calzini senza l’aiuto di un’altra persona o di attrezzi?”) e nel BASDAI riguardano l’attività della malattia (ad esempio il grado di dolore a livello di collo, schiena ed anche). A queste domande il paziente risponde con una scala da 0 a 100. L’indice articolare di Ritchie serve a valutare quali articolazioni sono interessate e quanto sono interessate in caso di coinvolgimento periferico, e si effettua valutando la dolorabilità dell’articolazione alla palpazione, durante la visita. Il BASMI (Bath Ankylosing Spondylitis Metrology Index) valuta la mobilità articolare con vari parametri, come la distanza trago-parete, il test di Schöber, la rotazione del rachide cervicale (se è superiore a 70°, tra 20 e 70° od inferiore a 20°), la lateroflessione del rachide lombare e la distanza intramalleolare in posizione supina (che deve essere superiore a 100 cm o tra 70 e 100 cm). Il test di Schöber si effettua prendendo due punti sulla schiena del soggetto, uno dei quali è a livello della quinta vertebra lombare, ed un altro è 10 cm più in alto, e si fa flettere il soggetto in avanti. In un soggetto normale i punti devono allontanarsi di almeno 5 cm, nella spondilite anchilosante l’elasticità è ridotta ed i punti si allontanano poco (1-2 cm). Il dolore è valutato tramite la VAS, la scala analogica visiva, in cui 0 significa assenza di dolore e 10 il massimo dolore immaginabile. Il BAS-G (Bath Ankylosing Spondylitis Patient Global Score) è riferito agli ultimi 6 mesi o all’ultima settimana e riguarda come il paziente considera l’attività generale della malattia. Il segno della freccia misura la distanza occipite-muro (il paziente non è in grado di toccare il muro con l’occipite) ed è un segno complementare della distanza trago-parete.
A livello del rachide abbiamo le calcificazioni dei legamenti intervertebrali con formazione di ponti ossei, ed ancora prima dei cosiddetti sindesmofiti, poi la colonna rimane bloccata, a canna di bambù (è detta anche la “sindrome dell’uomo rigido”, o “stiff man syndrome”). Può interessare la colonna vertebrale in tutta la sua lunghezza: quando colpisce la colonna cervicale, questo avviene in flessione ed i pazienti non possono guardare in alto. Molti pazienti sono disabilitati alla guida in quanto non riescono più a guardare nello specchietto retrovisore interno, ma questo aspetto è contrastato dai farmaci anti-TNF. Il decorso progressivo della patologia prevede una perdita della lordosi lombare e l’atrofia dei glutei, l’accentuazione della cifosi toracica, l’incurvamento in avanti se è coinvolta la colonna cervicale, il coinvolgimento dell’anca con le contratture in flessione e la flessione compensatoria dell’articolazione del ginocchio. Un altro parametro di valutazione è la distanza indice-pavimento, nella flessione forzata a ginocchia estese: i soggetti con la spondilite anchilosante non riescono a toccare il pavimento. E’ molto importante valutare l’espansione del torace misurando tra il 4° ed il 5° spazio intercostale (l’allargamento dell’ampiezza toracica, che nel soggetto sano supera i 6 cm): se sono interessate le articolazioni costo-sternali e le costo-vertebrali, e si arriva ad uno stato di fibrosi completa, il paziente arriva alla respirazione solamente diaframmatica. Particolare enfasi va posta sul fatto che il paziente non debba fumare, il fumo aggraverebbe un quadro di insufficienza respiratoria.
Il paziente con la spondilite anchilosante deve essere trattato in modo educativo, deve intraprendere un percorso di riabilitazione tramite una fisiokinesiterapia, tramite degli esercizi in estensione e nuotando (se la colonna cervicale è bloccata, è utile l’uso di un boccaglio per la respirazione sott’acqua). Dal punto di vista medico si usano i nuovi farmaci inibitori del TNF, gli unici a funzionare nella spondilite anchilosante senza un coinvolgimento periferico. La spondilite anchilosante ha un ritardo diagnostico di 9 anni, quindi il trattamento, se c’è già la presenza di anchilosi, è principalmente mirato all’aspetto antinfiammatorio. Il dolore acuto infiammatorio va trattato con analgesici ed antinfiammatori, in caso di fratture vertebrali i movimenti devono essere eliminati tramite l’impiego di un corsetto. Methotrexate e Salazopyrina sono utilizzati nelle forme di spondiloartriti con aspetto artritico od entesitico.
I nuovi farmaci anti-TNF, detti “biologici” o meglio “biotecnologici”, utilizzati nella cura delle spondiloartriti sono, anticorpi monoclonali anti-TNF, come l’Infliximab, l’Adalimumab (il nome commerciale è Humira), l’Etanercept (è la versione ricombinante del recettore solubile per il TNF, il nome commerciale è Enbrel), ed il nuovo Golimumab. L’infliximab è un anticorpo monoclonale chimerico umano-murino, mentre l’Adalimumab è completamente umanizzato, ed entrambi agiscono con un meccanismo di blocco del TNF, mentre l’Etanercept agisce con un meccanismo recettoriale. Ciò è importante perchè alcuni pazienti possono non rispondere alla terapia con una delle classi di farmaci. Per quanto riguarda il comportamento da mantenere, è indicato dormire su materassi non cedevoli e senza cuscino (per non favorire la cifosi), camminare il più possibile eretti e sdraiarsi periodicamente in posizione prona. La pratica del nuoto è importante, gli esercizi in acqua servono ad aumentare il tono muscolare. I pazienti con un interessamento rizomerico possono andare incontro alla necessità di artroprotesi, soprattutto se l’età di insorgenza è molto giovane, anche se ciò ha dei problemi di costi (circa 50’000 euro) e dei rischi infettivi. Se la visione in avanti è molto compromessa servono degli interventi di osteotomia vertebrale. E’ anche necessario un consulto psicologico o psichiatrico per i problemi psicosociali che questa patologia può causare.

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